Un luogo in cui sperimentare nuove pratiche di incontro e socialità tra cittadini, migranti e mondi dell'arte. Nel cuore del quartiere Navile di Bologna, ha preso vita nei primi mesi dell'anno MET – Meticceria Extrartistica Trasversale.
Il progetto è tra i 15 finalisti del bando culturability 2017. In questa intervista ce ne parla Pietro Floridia, direttore artistico di Cantieri Meticci, l'associazione che da febbraio ha trovato casa in questo spazio.
Cos'è una Meticceria Extrartistica Trasversale?
Per Meticceria intendiamo un luogo in cui si costruisce e si fabbrica “meticciato", ossia si generano dei processi che portano alla mescolanza delle persone. Sono le categorie spesso escluse, come adolescenti, anziani, donne, migranti e rifugiati a mescolare linguaggi artistici, inventare format, creando una sorta di leadership culturale eterogenea. Extrartistica perché, da un lato, vuole essere più grande dell'arte (come extra large è più grande di large), puntando alla qualità. Dall'altro, vuole andare “oltre" (come extra territoriale). Quello che ci interessa è spingerci fuori da quelli che sono i luoghi propri della cultura per arrivare in territori spesso esclusi o trascurati. Infine Trasversale, che per noi significa muoverci nei campi più diversi, mescolando saperi e settori.
Il progetto nasce su impulso di Cantieri Meticci. Chi siete e ci racconti e com'è nata questa realtà?
Tutto parte nel 2005, quando ho iniziato a occuparmi della Compagnia dei Rifugiati, un progetto dedicato al teatro con migranti che ho portato avanti mentre ero ancora direttore del Teatro dell'Argine. In quel periodo viaggiavo molto, portando spettacoli in Medio Oriente, in Africa e in Sud America. Contemporaneamente, il fenomeno migratorio in Europa cresceva e la composizione delle nostre città iniziava a mutare rapidamente. In ambito teatrale percepivo una certa distanza da ciò che avveniva nel resto del mondo e ho iniziato a sentire l'esigenza di impiegare gli strumenti artistici che conoscevo per raccontare quel cambiamento in atto. Ho deciso allora di staccarmi dal Teatro dell'Argine, che avevo contribuito a fondare, per scommettere tutto su una nuova avventura: creare percorsi teatrali con compagni provenienti da tutto il mondo, senza i compromessi che stando in una struttura molto grande si dovevano per forza affrontare. Ho quindi fondato i Cantieri Meticci con quelli che erano i miei allievi di allora. A quel punto si sono aggregate tante altre persone e, da laboratorio che non si poneva problemi di sostenibilità (in quanto costola del teatro che dirigevo), abbiamo iniziato ad affrontare la grande sfida che può e deve affrontare un progetto del genere: dare lavoro non solo a degli italiani, ma a migranti che si occupano di cultura.
Il MET prende vita all'interno di uno spazio di 520 mq, in precedenza parte di un supermercato, situato in una zona periferica di Bologna, il Complesso Corticella. Come siete arrivati a intervenire su questo spazio?
Dopo il ridimensionamento del supermercato, Coop Allenza 3.0, che ha la disponibilità dell'immobile di proprietà del Comune di Bologna, ha deciso di rendere l'area, un polo attrattivo dal punto di vista sociale e culturale per il quartiere. Per questo, ha adattato lo spazio perché potesse ospitare servizi di associazionismo locale, come la sede di Legambiente, il presidio “118" della Onlus Croce del Navile, la scuola di cucina “Corsi e Percorsi" e altre attività culturali. Così, ci è arrivata la voce che erano alla ricerca di pratiche che potessero avere senso in quel luogo e in quel contesto. Dopo aver visto questo locale completamente deserto, ce ne siamo innamorati. Abbiamo ottenuto in concessione lo spazio e, grazie a una grande mobilitazione interna, abbiamo iniziato a lavorarci in 50/60 persone: artigiani, tecnici, scenografi, professionisti con il cuore e le mani per trasformare qualunque vecchio oggetto in qualcosa di bello. In qualche mese, chiusi lì dentro, trasformando scarti e materiali di recupero in palcoscenico e scaffali del bar, siamo riusciti ad allestire il primo piano con alcuni atelier artistici. Per esempio, in collaborazione con gli studenti dell'Accademia di Belle Arti è stato creato un laboratorio di stop-motion. Ora non ci resta che fare la stessa cosa con tutto il piano inferiore.
La cifra distintiva di MET è la mescolanza delle arti e delle persone per sviluppare nuove progettualità culturali ibride. Nella pratica tutto ciò come avviene?
È un fatto di pratiche artistiche: si parte sempre con un'intervista, appunti, momenti di ascolto, laboratori di narrazione, per far entrare nello sviluppo artistico l'opinione e quello che sta a cuore alle persone riguardo al tema di cui quello spettacolo o quel dipinto andrà a occuparsi. Attiviamo poi dei processi di partecipazione, come quello nello spazio principale del MET, dove la tavola grande centrale vuole affermare una condizione di orizzontalità in cui lo spettacolo si fa dialogo, scambio. Anche l'organizzazione spaziale riflette la nostra ipersensibilità verso l'esterno: le prime stanze del MET sono pensate come se fossero i sensi del nostro corpo: l'olfatto e gusto nella scuola di cucina; a seguire l'Archivio Polifonico che è l'orecchio; poi troviamo l'occhio, ossia la Collageria, dove bambini e adulti creano collage assieme agli artisti; il teAtrio, l'ingresso utilizzato per performance pubbliche, che coinvolge il tatto e tutto il corpo. Dall'altro lato, il coinvolgimento avviene tramite forme laboratoriali, che già realizziamo nei luoghi meno consueti della città: moschee, centri di accoglienza, biblioteche.
Laboratori, atelier, spettacoli. Qual è l'obiettivo di tutte queste attività?
L'intento è creare un processo di cooperazione tra persone diverse, per ottenere un risultato finale che è uno spettacolo, un'azione artistica. Con tutte le nostre attività vogliamo generare situazioni di incontro. Ci teniamo molto non solo che le persone vengano al MET, ma che a partire dalle nostre esperienze sul territorio si possa dire: “guardate che là c'è una casa permanente, quindi questo è un primo assaggio, inizia da noi per continuare il percorso".
Continuerete quindi a intervenire anche al di fuori degli spazi del MET?
Si, una componente fondamentale del progetto riguarda una ventina di luoghi della città attivi come luoghi di “meticciato", dove portiamo i nostri laboratori e i nostri spettacoli, che ora hanno iniziato a dialogare con il MET. Questo tipo di scambio tra punti disseminati nel territorio e la nostra base è già molto attivo. In più, i Meticci portano i propri spettacoli non solo in tutta Italia, ma nell'intera Europa.
Oltre che sulla parte artistica, il vostro lavoro si concentra molto sul dialogo interculturale e la partecipazione attiva del pubblico. Qual è l' “idea di cultura" che c'è dietro?
Perseguiamo una cultura che tolga un po' di centralità all'occidente, alla sua gerarchia culturale, che sia ricettiva verso il pluralismo. In secondo luogo, è una cultura che deve rischiare, essere viva, come se fosse un respiro in cui dal mondo passa attraverso i polmoni, è rielaborata internamente e poi, in un atto di espirazione, passa dal dentro al fuori. Ecco, per noi deve succedere in questo modo, i nostri processi culturali ricevono l'ossigeno da quello che le persone pensano, dall'ascolto dei territori, lo rielaborano negli atelier del MET e in tempi abbastanza veloci lo risputano verso l'esterno. Da ultimo, mi viene da dire un tipo di cultura che favorisce l'accesso per tutti, che cerca, nel suo avere assunto le caratteristiche dei migranti con cui lavoriamo, l'attitudine a muoversi, a spostarsi, ad andare là dove già si trovano le persone. Per questo, ci interessa la periferia e quei territori di confine, dove la cultura manca o normalmente non c'è, non è offerta.
Siete stati selezionati tra oltre 429 proposte pervenute in occasione della 4^ edizione di culturability. Qual è stata la reazione alla notizia?
Dopo averlo saputo, abbiamo fatto una festa al MET! Poi ci siamo riuniti anche con i nostri allievi africani, che non sempre parlano un italiano perfetto, e abbiamo fatto capire loro che potevamo avere speranze di proseguire nella rigenerazione del nostro spazio e nella ricerca di percorsi lavorativi a loro dedicati. È stato un momento molto bello, molto festoso, molto meticcio.
E dalla città avete avuto riscontri?
In qualche modo l'intera Bologna si è complimentata con noi, dagli assessori all'università. Abbiamo avuto l'impressione che il bando sia stato percepito come un segnale che siamo sulla strada giusta, dandoci molta credibilità non solo a livello locale, ma anche nazionale. E questo è per noi prezioso. Lavorando molto nelle strade, in luoghi inconsueti e nascosti, talvolta pensiamo che il riconoscimento “dall'alto" non possa arrivare, e invece con culturability è successo.